Tano Santoro: Senza titolo, 2009.

Artista: 
Testo Ridotto: 

Nell’ultima produzione di Santoro la figurazione subisce un’ulteriore deframmentazione per mezzo del segno, finendo per scomparire quasi del tutto all’interno una trama fittissima di pennellate. La vertigine grafica scompone la superficie pittorica in un universo analitico di tocchi totalmente non arbitrari. Cioè che a un primo sguardo sembrerebbe una costruzione libera e improvvisata, in realtà sottende una “griglia” di segni i cui numerosi angoli perpendicolari scandiscono ritmicamente l’opera secondo una verticalità che alleggerisce il segno gradatamente verso l’alto. 

Testo Medio: 

Nell’ultima produzione di Santoro la figurazione subisce un’ulteriore deframmentazione per mezzo del segno, finendo per scomparire quasi del tutto all’interno una trama fittissima di pennellate. La vertigine grafica scompone la superficie pittorica in un universo analitico di tocchi totalmente non arbitrari. Cioè che a un primo sguardo sembrerebbe una costruzione libera e improvvisata, in realtà sottende una “griglia” di segni i cui numerosi angoli perpendicolari scandiscono ritmicamente l’opera secondo una verticalità che alleggerisce il segno gradatamente verso l’alto.Le polarità cromatiche del blu e del giallo si scompongono in un magma di naturale di tocchi verdi di grande effetto plastico e materico. L’opera sembra riconnettersi in parte con le composizioni sperimentate da Piet Mondrian[1] nel 1913[2], di fatto anche per Santoro, come per l’artista olandese, l’interesse principale è quello di raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici, per entrambi la natura è il punto di partenza, ma la riflessione di Santoro non riguarda tanto una gnoseologia della verità sottesa all’apparenza, quanto il valore autonomo della pittura come realtà perfettamente compiuta. Per questa ragione le sue opere non hanno un titolo, ma solo una didascalia che riporta la tecnica e l’anno di produzione, in una sorta di certificazione, una testimonianza del processo che l’artista considera sempre come parte di un’unica grande opera in divenire. Divenire che il segno di questa tela mostra in una sequenza organica di possibili trasformazioni, mutazioni cromatiche, cambi di luce e di direzione. Il segno è qui la struttura dell’immagine, il suo mattone, la sillaba che ne scandisce l’autonoma fierezza dalla figurazione, pur anche da un recondito senso verbale, che qui viene assolutamente negato per dichiarare tutta l’assoluta centralità del fatto visivo, della pittura come ente autonomo, come fatto oggettivo.




[1] (Amersfoort, 1872 – New York, 1944) 

[2] Composizione No. II, 1913, Kroeller-Mueller Museum, Otterlo

 

Testo Esteso: 

Nell’ultima produzione di Santoro la figurazione subisce un’ulteriore deframmentazione per mezzo del segno, finendo per scomparire quasi del tutto all’interno una trama fittissima di pennellate. La vertigine grafica scompone la superficie pittorica in un universo analitico di tocchi totalmente non arbitrari. Cioè che a un primo sguardo sembrerebbe una costruzione libera e improvvisata, in realtà sottende una “griglia” di segni i cui numerosi angoli perpendicolari scandiscono ritmicamente l’opera secondo una verticalità che alleggerisce il segno gradatamente verso l’alto.Le polarità cromatiche del blu e del giallo si scompongono in un magma di naturale di tocchi verdi di grande effetto plastico e materico. L’opera sembra riconnettersi in parte con le composizioni sperimentate da Piet Mondrian[1] nel 1913[2], di fatto anche per Santoro, come per l’artista olandese, l’interesse principale è quello di raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici, per entrambi la natura è il punto di partenza, ma la riflessione di Santoro non riguarda tanto una gnoseologia della verità sottesa all’apparenza, quanto il valore autonomo della pittura come realtà perfettamente compiuta. Per questa ragione le sue opere non hanno un titolo, ma solo una didascalia che riporta la tecnica e l’anno di produzione, in una sorta di certificazione, una testimonianza del processo che l’artista considera sempre come parte di un’unica grande opera in divenire. Divenire che il segno di questa tela mostra in una sequenza organica di possibili trasformazioni, mutazioni cromatiche, cambi di luce e di direzione. Il segno è qui la struttura dell’immagine, il suo mattone, la sillaba che ne scandisce l’autonoma fierezza dalla figurazione, pur anche da un recondito senso verbale, che qui viene assolutamente negato per dichiarare tutta l’assoluta centralità del fatto visivo, della pittura come ente autonomo, come fatto oggettivo. Si tratta del principale portato teorico della pittura del Novecento, e delle sue successive trasmutazioni. Il modernismo è il trionfo dell’autoanalisi dei mezzi espressivi, emancipati da qualsiasi dipendenza dalla realtà e dal significato. Le forme significanti, il colore, la linea, e il segno grazie al modernismo acquisiscono una definitiva autonomia.     In Santoro è proprio il segno ad avere significato, è il segno a trionfare. Nel segno, nelle caratteristiche topografiche, di posizione, di tensione espressiva, sta tutta la pittura di quest’artista, che è pittore grafico, prima di tutto. Il suo segno, che ha molto della linea continua complessa e inquieta di Giacometti, è il tassello d’immagini frutto di destrutturazioni intellettuali. La partenza è sempre la natura, il paesaggio, quello mediterraneo in particolare, che si scompone vibrando, come la luce dell’atmosfera siciliana all’approssimarsi dell’alba o del tramonto, fenomeni cromatici otticamente ed emotivamente totalizzanti, ben noti agli abitanti di queste latitudini. Nuvola, paesaggio deflagrato nella pioggia, miraggio d’acqua, l’opera più che trovare traduzioni verbali, sembra più adatta alle corrispondenze sonore, ai ritmi e alle armonizzazioni, e, più in generale, alla musica come esito di una sintesi organica di elementi diversi funzionalmente orchestrati in un unico testo espressivo. “Il pensiero musicale contemporaneo rifiuta formalmente o tacitamente l’ipotesi di un fondamento naturale che giustifichi obiettivamente il sistema dei rapporti istituiti tra le note della scala.[…]Come la pittura, la musica presuppone dunque un ‘organizzazione naturale dell’esperienza sensibile, il che non vuol dire che la subisca”.[3].

 


[1] (Amersfoort, 1872 – New York, 1944) 

[2] Composizione No. II, 1913, Kroeller-Mueller Museum, Otterlo

[3] Lèvy Strauss, Le Cru et la Cuit, Paris, 1964, pp 29-30, cit. in Jean – Jacques Nattiez, Dalla semiologia alla musica, Palermo 1990, p.86.

 

Galleria Immagini: 
Gallerie Immagini Secondarie: 

Galleria Opere Tano Santoro

  • Tano Santoro: Senza titolo, 2009, olio su tela, 240 x 150 cm, Galleria provinciale d’arte moderna e contemporanea di Messina.
  • Tano Santoro: Senza titolo, olio su tela, 2010, 35 x 25, cm, collezione privata.
  • Tano Santoro: Senza titolo, 2004, olio su tela, 100 x 80 cm, collezione privata.
  • Tano Santoro: Senza titolo, 2000 – 03, olio su tela, 200 x 150 cm, collezione privata.
  • Tano Santoro: Senza titolo, 1998, olio su tela, 70 x 150 cm, collezione privata
Credits: 
Courtesy Tano Santoro

Galleria Opere Grafiche Tano Santoro

  • Tano Santoro: Senza titolo, acquaforte - tinta, 1982, 350 x 240 cm.
  • Tano Santoro: Senza titolo,1985 mm, acquaforte - tinta, 580 x 400 mm.
  • Tano Santoro: Naso e l’isola, acquaforte – tinta, 1985, mm.450 x 600.
  • Tano Santoro: L’albero e l’isola, 1988, acquaforte – tinta, 450 x 630. mm. .
  • Tano Santoro: Senza titolo, 2001, acquaforte – tinta, 600 x 400 mm.
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Courtesy Tano Santoro
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