Tano Santoro

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Nato a Naso nel 1940, Tano Santoro sviluppa le sue prime presenze a contatto diretto con i migliori artisti dell’Italia del dopo guerra. A Capo d’Orlando, infatti, nel 1955  Giuseppe Migneco aveva trovato un ambiente recettivo e aperto in grado di cogliere l’occasione di una sua giustissima idea: Il premio nazionale di pittura Vita e Paesaggio di Capo d’Orlando. Il premio raccolse subito un gran numero di nomi tra cui Tono Zancanaro, celebre incisore padovano, Saro Mirabella e Giuseppe Motti.  Furono questi personaggi ad influenzare il giovane Tano, che compiuti i vent’anni lasciò Naso per Milano, voglioso di mettere alla prova quella passione per l’arte che il contatto con l’esaltante mondo della rassegna estiva  aveva esaltato. Dopo un primo periodo di stenti, Santoro trova un maestro e una sistemazione presso lo studio di Giuseppe Motti, pittore tra i più importanti del Neorealismo lombardo. Dopo un fatico periodo di apprendistato, durato più o meno sette anni, dal 1961 al 1968, Tano  fa il primo esordio nel 1969, data cruciale per un’attività di cui, per la stessa volontà dell’autore, non esistono più testimonianze. Lasciato lo studio di Motti, Santoro si trasferisce in un proprio atelier all’ultimo piano di un antico palazzo milanese di via Garibaldi affacciato sui tetti della basilica romanica di San Simpliciano. Fino alla prima metà dei Settanta la sua pittura graviterà attorno al realismo esistenziale, senza mai aderirvi completamente, a curare la sua produzione sarà la Galleria Cafiso di Milano, fino al 1975, quando rotto il contratto, Santoro gestirà privatamente il rapporto coi collezionisti A partire da quella data la pittura di Santoro importa massicciamente dalla grafica il valore costitutivo del segno nella sua pittura. La produzione incisoria, di cui Santoro è pure stampatore grazie al laboratorio installato nel nuovo studio, sarà il suo principale mezzo di sostentamento per oltre un ventennio, grazie all’alto valore tecnico e formale riconosciuto dai collezionisti e alle sue virtuosistiche calcografie. Se la natura grafica e disegnativa di questo artista è un dato ampiamente discusso e argomentato dalla critica, una tensione cromatica radicale ed elettrizzante riguarda, come fatto stilistico autonomo e portante, buona parte della pittura di Santoro alla fine degli anni ‘70, basti guardare alle scioccanti cromie complementari di un olio oggi conservato nelle collezioni comunali di Naso, lascito dell’artista alla cittadina in seguito alla grande personale del 1986 . Se Santoro è un autore grafico eruttivo - sterminata la sua produzione non solo incisoria ma soprattutto disegnativa - la vocazione naturale all’immediatezza del segno diviene nella pittura una pausata dimensione di riflessione sulle forme. I termini di questa investigazione sono temporalmente dilatati, l’artista ritorna sulla stessa opera a distanza di molti anni, spesso non ancora soddisfatto del risultato raggiunto. Questa visione rientra perfettamente nell’amministrazione severa e oculata che l’artista ha fatto della sua carriera. Le personali si susseguono con cadenza annuale, egli seleziona rigidamente i pezzi dell’esposizione cercando di ricostruire globalmente, tramite tutti i suoi mezzi espressivi, le qualità e lo spessore della sua produzione. Così le personali della fine degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80, raccolgono la summa di opere tese tra influssi figurativi futuristi, sironiani e metafisici, in una koinè indipendente che fa del segno il mezzo d’espressione di complessi equilibri. Anche se il carattere ciclico dell’arte di Santoro rende difficile una periodizzazione lineare, un blocco abbastanza omogeneo di pitture d’impianto più classico e monumentale attraversa gli anni ‘80 dell’artista in una commistione tra figurazione e segno perfettamente equilibrata. Compaiano allora sistemi di colori caldi, mediterranei, il giallo e il blu e il relativo complementare, il segno segue un’architettura fondamentalmente figurativa pur nelle ampie e sfaldate pennellate ampie e larghe. Sono invece i disegni e le acqueforti a costituire il “laboratorio sperimentale dell’artista”. La verve massiccia e robusta del suo segno esplode senza reticenze sulla superficie della lastra anticipando di quasi un decennio la pittura. Se gli anni ‘80 si muovono all’interno di un dichiarata e ancora maggioritaria figurazione, nei paesaggi delle tecniche miste dei primi anni ‘90, l’artista sposta il baricentro della sua espressione verso una ricerca segnica “enciclopedica”, tra frottage e tensioni gestuali. La figura umana perde la sua centralità e “l’analisi del segno”, sottotitolo dato spontaneamente dall’artista commentando un’opera del periodo, diviene il soggetto esclusivo anche della sua pittura a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Nascono così composizioni il cui eco figurativo scompare sotto le stratificazioni segniche, tra molteplici tensioni dinamiche e organizzazioni spaziali di forme totalmente libere. Contemporaneamente a questo processo di radicalizzazione, Santoro approccia con sempre maggior frequenza il monocromo quale superficie su cui “cavare” le ultime tracce della figurazione . Ma non è una via esclusiva: l’invenzione non è scandita da ritmi regolari, l’artista muta sempre ritmo e colore pur rivisitando gli stessi temi di sempre, la prospettiva appare però chiaramente quella di un astrattismo segnico quasi “barocco”, in cui l’emozione della tela arriva attraverso la meditazione sulle forme . Il pittore è conscio del rischio di un appiattimento conseguente alla sua complessità grafica, quindi calibra le composizioni volgendo in maniera maggioritaria, ma non esclusiva, la sua paletta ai toni “freschi” dei verdi e invece più profondi del blu . Tra le trame di questa pittura tono su tono, Santoro potenzia, nella luminosità assoluta dei bianchi, ultima frontiera del colore e del segno affrontata dal maestro come problema teorico e pratico dell’arte pittorica, vero segno in levare, negativo, imposto al moto della sua pittura. 

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