Come un sillabario

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Come un sillabario
Artista: 
Testo Ridotto: 

A qualche anno da In certi quartieri, edito da Mesogea nel 2008, Mario Valentini torna a pubblicare con la casa editrice messinese il volume Come un sillabario, in cui racconta attraverso 21 nuove storie, - tante quante sono le lettere dell’alfabeto - “i vagabondaggi di vita e di pensieri di un quarantenne piuttosto preoccupato della propria distrazione che, dopo molti mestieri quasi tutti legati all’esperienza di narrare e ascoltare, fa l’insegnante a Palermo e dintorni”. 

Testo Medio: 
 
A qualche anno da In certi quartieri, edito da Mesogea nel 2008, Mario Valentini torna a pubblicare con la casa editrice messinese il volume Come un sillabario, in cui racconta attraverso 21 nuove storie, - tante quante sono le lettere dell’alfabeto - “i vagabondaggi di vita e di pensieri di un quarantenne piuttosto preoccupato della propria distrazione che, dopo molti mestieri quasi tutti legati all’esperienza di narrare e ascoltare, fa l’insegnante a Palermo e dintorni”. Al centro delle narrazioni, un insieme di vicende e personaggi in equilibrio tra cronaca, invenzione e autobiografia, che trovano nelle parole dei titoli un peculiare sistema di orientamento: il sillabario. Strumento al contempo remoto e quotidiano, nel suo accostare segni e suoni, il sillabario è infatti la chiave che apre il felice azzardo di queste storie in movimento, destinate a tracciare “una mappa di parole che non perdono mai la forza e il senso delle cose”. Tra i ricordi che affiorano sulla carta, c’è anche l’esperienza vissuta dall’autore a Modena tra il 1993 e il 1996, ai tempi della redazione della rivista «Il Semplice», sotto l’egida di Cavazzoni e Celati («Io mi fidavo di Gianni Celati e nello scrivere pezzi, che impropriamente all’epoca chiamavo racconti, avevo subito fatto mia questa idea di non scrivere per fare successo. A distanza di quasi venti anni posso affermare con certezza di avere pienamente raggiunto lo scopo», p. 32). Ancora, sul versante delle memorie, Come un sillabario raccoglie le confessioni private dello scrittore allo specchio, come se, sondando il terreno della vita personale, Valentini ci mostrasse la sua officina creativa, la quotidianità a Palermo, le voci dei familiari e i banchi della scuola dove insegna. Lo sguardo sulla realtà, dunque, è filtrato dall’esperienza personale, che rende vividi gli ambienti e i personaggi ritratti, intrattenendo un gioco di corrispondenze con il lettore, chiamato a comporre le tessere sparpagliate di un mosaico.  
Testo Esteso: 
A qualche anno da In certi quartieri, edito da Mesogea nel 2008, Mario Valentini torna a pubblicare con la casa editrice messinese il volume Come un sillabario, in cui racconta attraverso 21 nuove storie, - tante quante sono le lettere dell’alfabeto - “i vagabondaggi di vita e di pensieri di un quarantenne piuttosto preoccupato della propria distrazione che, dopo molti mestieri quasi tutti legati all’esperienza di narrare e ascoltare, fa l’insegnante a Palermo e dintorni”. Al centro delle narrazioni, un insieme di vicende e personaggi in equilibrio tra cronaca, invenzione e autobiografia, che trovano nelle parole dei titoli un peculiare sistema di orientamento: il sillabario. Strumento al contempo remoto e quotidiano, nel suo accostare segni e suoni, il sillabario è infatti la chiave che apre il felice azzardo di queste storie in movimento, destinate a tracciare “una mappa di parole che non perdono mai la forza e il senso delle cose”. Si tratta, dunque, di uno zibaldone, di un labirinto di micronarrazioni che contaminano il piano della storia con quello della trasfigurazione letteraria, ricorrendo di sovente agli strumenti dell’umorismo e alle vertigini della fantasia. Ci sono i luoghi geografici dell’avventura umana e lavorativa dell’autore, i suoi dubbi e i suoi giudizi, ma anche una coralità di personaggi che con lui entrano in relazione e conquistano uno spazio importante nel sillabario. Tra i ricordi che affiorano sulla carta, c’è anche l’esperienza vissuta dall’autore a Modena tra il 1993 e il 1996, ai tempi della redazione della rivista «Il Semplice», sotto l’egida di Cavazzoni e Celati («Io mi fidavo di Gianni Celati e nello scrivere pezzi, che impropriamente all’epoca chiamavo racconti, avevo subito fatto mia questa idea di non scrivere per fare successo. A distanza di quasi venti anni posso affermare con certezza di avere pienamente raggiunto lo scopo», p. 32). Ancora, sul versante delle memorie, Come un sillabario raccoglie le confessioni private dello scrittore allo specchio, come se, sondando il terreno della vita personale, Valentini ci mostrasse la sua officina creativa, la quotidianità a Palermo, le voci dei familiari e i banchi della scuola dove insegna. Lo sguardo sulla realtà, dunque, è filtrato dall’esperienza personale, che rende vividi gli ambienti e i personaggi ritratti, intrattenendo un gioco di corrispondenze con il lettore, chiamato a comporre le tessere sparpagliate di un mosaico:
Ma alla fine scopri di non aver viaggiato davanti a un finestrino, le immagini proiettate gentilmente sul naso. Scopri che lo scrittore non ti ha messo su una poltrona ad ascoltare le sue storie (più o meno intime, collettive, meditabonde, immaginative), ti ha ficcato invece all’interno di uno sgabuzzino a sbirciare di nascosto da un foro. Scopri allora di essere il lettore del sillabario della narrazione, lanciato come un elastico insù e ingiù negli spazi dilatati del racconto. Scopri alla fine che, a tua insaputa, lo scrittore ti ha insegnato a leggere e a scrivere, mentre lui sillabava. A scegliere le parole giuste, a porsi la domanda delle domande: perché sono qui? (Lui a scrivere tu a leggere). A cercare il mistero, la suggestione. A trovare l’intuizione, l’ossessione. A inseguire i personaggi e le storie, i drammi, il pathos. A capire come inseguire i personaggi e le storie, i drammi, il pathos, nella Storia e nell’immaginazione. Quando lo scrittore per la prima volta si allontana dalla tastiera (o dal taccuino), alla fine dell’ultimo racconto, si ha proprio l’impressione di aver attinto a una storia molto più vasta e per questo se ne trae un benessere superiore, come il piacere che spinge il velista ad andare per mare. “Ma gli piace (al velista) perché partecipa per un poco, in questo modo, della potenza del vento e della vastità del mare”. (S. Bonura, Come un velista che va per mare, glistatigenerali.com)
 
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