Pippo Galipò: Moderno Minosse, 2000.

Artista: 
Testo Ridotto: 

L’opera appartiene alla mostra Stanze Remote, tenutasi alla galleria Orientale Sicula 7puntoarte di Messina nel 2010. L’esibizione  ospitava la produzione pittorica di Galipò dal 1996 al 2003, in una carrellata di immagini e temi organici alla visione di questo artista. Moderno Minosse si muove dentro la poetica espressionista, appassionata e perfettamente contemporanea del pittore.  Come evidenziato da Daniele De Joannon nel catalogo della mostra, Galipò è un artista militante e in aperta polemica con il mondo contemporaneo dal quale vengono gli spunti tematici e figurativi della sua arte.

Testo Medio: 

L’opera appartiene alla mostra Stanze Remote, tenutasi alla galleria Orientale Sicula 7puntoarte di Messina nel 2010. L’esibizione  ospitava la produzione pittorica di Galipò dal 1996 al 2003, in una carrellata di immagini e temi organici alla visione di questo artista. Moderno Minosse si muove dentro la poetica espressionista, appassionata e perfettamente contemporanea del pittore.  Come evidenziato da Daniele De Joannon nel catalogo della mostra, Galipò è un artista militante e in aperta polemica con il mondo contemporaneo dal quale vengono gli spunti tematici e figurativi della sua arte.Uno degli episodi più noti del mito di Teseo e del labirinto è qui rielaborato modernamente in chiave simbolica e psicologica. Al centro un personaggio mostra la mano dal cui pollice si tende il filo di una moderna timida Arianna. Incarnazione della pittura come salvezza, o forse come amore, sulla donna incombe un'altra figura dall’espressione disperata, mentre in fondo, un altro personaggio, forse un tragico e inquietante Minosse, volge il suo sguardo deformato verso la scena. Presenze  altrettanto inquietanti sono quella dell’incappucciato, e quella del leopardo, allusione, forse, al successivo matrimonio di Arianna con Dioniso,  che l’iconografia classica riporta un carro tirato da felini.  Galipò segue le orme di Bacon, reinterpretandone la lezione in un visione figurativamente più nitida e pulita. La surreale immagine è carica di dramma e di imperscrutabili corrispondenze che hanno nel labirinto[1] la sintesi simbolica di tutte le  tele di Stanze Remote. Il labirinto è il luogo dello smarrimento, della perdita di direzione, dell’isolamento. Tutti i personaggi raffigurati da Galipò nelle opere in mostra non hanno relazione tra di loro. Anzi, i loro stessi tratti somatici sono in contraddizione, elementi grotteschi di volti deformati, specchio di personalità confuse, ibride, mascherate, artificialmente montate. In questo senso il filo di Arianna che lega il sorriso alla mano, sembra essere l’unica nota romantica di un paesaggio altrimenti straziato di figure da incubo, torturato da idoli posticci e creature mostruose.

 


[1] Presente pure nell’opera Le felicità impossibili (2001).

 

Testo Esteso: 

L’opera appartiene alla mostra Stanze Remote, tenutasi alla galleria Orientale Sicula 7puntoarte di Messina nel 2010. L’esibizione  ospitava la produzione pittorica di Galipò dal 1996 al 2003, in una carrellata di immagini e temi organici alla visione di questo artista. Moderno Minosse si muove dentro la poetica espressionista, appassionata e perfettamente contemporanea del pittore.  Come evidenziato da Daniele De Joannon nel catalogo della mostra, Galipò è un artista militante e in aperta polemica con il mondo contemporaneo dal quale vengono gli spunti tematici e figurativi della sua arte.Uno degli episodi più noti del mito di Teseo e del labirinto è qui rielaborato modernamente in chiave simbolica e psicologica. Al centro un personaggio mostra la mano dal cui pollice si tende il filo di una moderna timida Arianna. Incarnazione della pittura come salvezza, o forse come amore, sulla donna incombe un'altra figura dall’espressione disperata, mentre in fondo, un altro personaggio, forse un tragico e inquietante Minosse, volge il suo sguardo deformato verso la scena. Presenze  altrettanto inquietanti sono quella dell’incappucciato, e quella del leopardo, allusione, forse, al successivo matrimonio di Arianna con Dioniso,  che l’iconografia classica riporta un carro tirato da felini.  Galipò segue le orme di Bacon, reinterpretandone la lezione in un visione figurativamente più nitida e pulita. La surreale immagine è carica di dramma e di imperscrutabili corrispondenze che hanno nel labirinto[1] la sintesi simbolica di tutte le  tele di Stanze Remote. Il labirinto è il luogo dello smarrimento, della perdita di direzione, dell’isolamento. Tutti i personaggi raffigurati da Galipò nelle opere in mostra non hanno relazione tra di loro. Anzi, i loro stessi tratti somatici sono in contraddizione, elementi grotteschi di volti deformati, specchio di personalità confuse, ibride, mascherate, artificialmente montate. In questo senso il filo di Arianna che lega il sorriso alla mano, sembra essere l’unica nota romantica di un paesaggio altrimenti straziato di figure da incubo, torturato da idoli posticci e creature mostruose. Galipò è un artista militante, e in protesta. La sua sensibilità avverte tutto il dolore della condizione umana cercando la catarsi nella bellezza, la via di fuga di una realtà percepita come immutabile. “I miei personaggi, spalle al muro, vivono la penombra di stanze cupe e strette ma sono irradiati dalla loro luce interiore. Sono volti tragici, spesso solcati da rughe e segnati dalle cicatrici dell’affanno, a volte sembrano chiusi in una gabbia, una prigione di fili, un fragile confine.”[2]. Nell società dello spettacolo, dove tutto è immagine, comunicazione, l’artista è stato estromesso dai processi di produzione estetica e intellettuale. La sua sensibilità è confinata alla galleria d’arte, al piccolo pubblico degli estimatori, ai club d’arte di provincia. La sua opera, in quanto opera individuale, personale, non può che essere in rottura, in disaccordo, in feroce resistenza etica contro i meccanismi dei una società integralmente governata dalla tecnica e dal mercato.  “L’uomo è diventato per così dire un dio-protesi, veramente grandioso quando sfoggia tutti i suoi organi ausiliari, ma questi non sono cresciuti insieme a lui e all’occasione gli danno ancora filo da torcere. Egli ha del resto il diritto di consolarsi, pensando che questi sviluppi non termineranno nel 1930 A.D. I tempi futuri porteranno probabilmente con sé nuovi progressi, forse inimmaginabili in questo campo della civiltà, i quali faranno aumentare ulteriormente la somiglianza dell’uomo a Dio. Ma nell’interesse della nostra indagine non dimentichiamo, fra tutte queste cose, che, pur nella sua somiglianza a Dio, l’uomo di oggi non si sente felice.”[3]




[1] Presente pure nell’opera Le felicità impossibili (2001).

[2] Pippo Galipò in Stanze Remote, catalogo della mostra a cura di Daniele De Joannon, Orientale Sicula 7punto arte, Messina 2010, p. 30.

[3] Sigmund Freud, il Disagio della civiltà, Newton, Roma, 2010, p.115

 

Galleria Immagini: 
Gallerie Immagini Secondarie: 

Galleria Opere Pippo Galipò

  • Pippo Galipò: La pillola della felicità, 1998, acrilico su tela, 100 x 120 cm.
  • Pippo Galipò: La religione del 2000, 1999, acrilico su tela, 50 x 60 cm.
  • Pippo Galipò: Noi uomini così civili,1998, acrilico su tela, 100 x 120 cm.
  • Pippo Galipò: The modern crime, 1999, acrilico su tela, 100 x 120 cm.
  • Pippo Galipò: Odio, 1999, acrilico su tela, 100 x 120 cm.
  • Pippo Galipò: Siamo solo numeri, 1999, acrilico su tela, 100 x 120 cm.
  • Pippo Galipò: Vita dove scappi, 2000, acrilico su tela, 60 x 80 cm.
  • Pippo Galipò: Le felicità impossibili, 2001, acrilico su faesite, 50 x 70 cm.
Credits: 
Courtesy Pippo Galipò e Orientale Sicula 7puntoarte
Data Luogo Opera: 
Tag Principali: 
Galleria Video: 
QR Code: 

Tag Tecnica: 
Tag Tipo Opera: