L’opera realizzata, nella seconda metà degli anni 80, appartiene a quello che Teresa Pugliatti definisce il periodo blu, picassiano, di Mantilla (Pugliatti 2009). Periodo organico soprattutto per la luce lunare dei suoi quadri e la generale atmosfera notturna dei suoi interni, che, di fatto, conserveranno, pur nelle mutazioni tonali e cromatiche, una medesima tensione durante tutta la sua carriera.
L’opera, realizzata nella seconda metà degli anni 80, appartiene a quello che Teresa Pugliatti definisce il periodo blu, picassiano, di Mantilla (Pugliatti 2009). Periodo organico soprattutto per la luce lunare dei suoi quadri e la generale atmosfera notturna dei suoi interni, che, di fatto, conserveranno, pur nelle mutazioni tonali e cromatiche, una medesima tensione durante tutta la sua carriera.Mantilla è un artista figurativo e narrativo. Le sue figure si raccontano, in questo senso anche quest’ Annunciazione può essere considerata una messa in scena, un’allegoria profana e contemporanea dell’episodio evangelico rappresentato nel quadretto a sinistra del divano, mentre a destra, una Santa Lucia riecheggia la resistenza passiva, incerta della donna. Mantilla lavora molto con l’ambientazione interna delle sue opere. I suoi quadri sono sempre dei drammi casalinghi, delle incursioni nello spazio concluso della dimora, dove i corpi possono spogliarsi e iniziare a parlare con l’epidermide livida, le pose degli arti, con le pieghe degli occhi e dei capelli. I personaggi di Mantilla sembrano tutti dei tormentati pupazzi, delle bambole di cui Mantilla è un puparo spietato ma mai crudele. Come l’uomo sul divano, si muovono goffamente, hanno estremità tese e timide, il loro equilibrio è assolutamente precario, come gli oggetti stessi su cui fa sedere i suoi personaggi. La sua pittura scabra, essenziale e primitiva evoca quella di Carrà e di Novecento, tuttavia Mantilla non è un citazionista, pur avendo dei modelli, e rifugge l’intellettualismo, il suo linguaggio è diretto, anche se psicologicamente molto dettagliato. Un certo malessere, un dolore sottile si avverte in quest’opera e in tutta la sua produzione, tuttavia il pittore non si arrende, è un regista lucido della sua rappresentazione, il cui effetto generale aleggia, conturbante ed enigmatico di fronte agli occhi dello spettatore. Mantilla non ama dare spiegazione sui suoi quadri che nascono spontaneamente, forse senza un progetto, sicuramente con una visione comune e con una tecnica a servizio dell’opera. Egli gioca con una certa manifesta ingenuità, con un linguaggio semplice che nel tono mesto, sottende un’ironia pronta a esplodere, se ascoltata. Ed è un discorso valido per l’Annunciazione che, se in parte è dramma, dall’altra ha anche il sapore di una commedia, di uno sberleffo nell’enorme distanza che il braccio teso dell’uomo cerca di colmare con la punta dell’indice. Un contatto che però diventa subito poetico, con un rimando azzeccato alle parole dell’Angelo e al raggio dello Spirito Santo.
L’opera, realizzata nella seconda metà degli anni 80, appartiene a quello che Teresa Pugliatti definisce il periodo blu, picassiano, di Mantilla (Pugliatti 2009). Periodo organico soprattutto per la luce lunare dei suoi quadri e la generale atmosfera notturna dei suoi interni, che, di fatto, conserveranno, pur nelle mutazioni tonali e cromatiche, una medesima tensione durante tutta la sua carriera.Mantilla è un artista figurativo e narrativo. Le sue figure si raccontano, in questo senso anche quest’ Annunciazione può essere considerata una messa in scena, un’allegoria profana e contemporanea dell’episodio evangelico rappresentato nel quadretto a sinistra del divano, mentre a destra, una Santa Lucia riecheggia la resistenza passiva, incerta della donna. Mantilla lavora molto con l’ambientazione interna delle sue opere. I suoi quadri sono sempre dei drammi casalinghi, delle incursioni nello spazio concluso della dimora, dove i corpi possono spogliarsi e iniziare a parlare con l’epidermide livida, le pose degli arti, con le pieghe degli occhi e dei capelli. I personaggi di Mantilla sembrano tutti dei tormentati pupazzi, delle bambole di cui Mantilla è un puparo spietato ma mai crudele. Come l’uomo sul divano, si muovono goffamente, hanno estremità tese e timide, il loro equilibrio è assolutamente precario, come gli oggetti stessi su cui fa sedere i suoi personaggi. La sua pittura scabra, essenziale e primitiva evoca quella di Carrà e di Novecento, tuttavia Mantilla non è un citazionista, pur avendo dei modelli, e rifugge l’intellettualismo, il suo linguaggio è diretto, anche se psicologicamente molto dettagliato. Un certo malessere, un dolore sottile si avverte in quest’opera e in tutta la sua produzione, tuttavia il pittore non si arrende, è un regista lucido della sua rappresentazione, il cui effetto generale aleggia, conturbante ed enigmatico di fronte agli occhi dello spettatore. Mantilla non ama dare spiegazione sui suoi quadri che nascono spontaneamente, forse senza un progetto, sicuramente con una visione comune e con una tecnica a servizio dell’opera. Egli gioca con una certa manifesta ingenuità, con un linguaggio semplice che nel tono mesto, sottende un’ironia pronta a esplodere, se ascoltata. Ed è un discorso valido per l’Annunciazione che, se in parte è dramma, dall’altra ha anche il sapore di una commedia, di uno sberleffo nell’enorme distanza che il braccio teso dell’uomo cerca di colmare con la punta dell’indice. Un contatto che però diventa subito poetico, con un rimando azzeccato alle parole dell’Angelo e al raggio dello Spirito Santo. E’ difficile trovare occhi tanto semplici e tanto comunicativi. Questi personaggi hanno nell’espressione delle loro orbite il senso largo e profondo di un lungo monologo teatrale. “I suoi ritratti fissi in una congelata immobilità e che sembrano più guardare che offrirsi allo sguardo; certi grandi nudi calati in una raggelata atmosfera donghiana o alcune nature morte di stremata povertà sono ora parole che confessano un’infinita solitudine e con essa il desiderio cosciente di qualcosa di diverso da trovare non più nel sogno, ma nella stessa realtà”[1]. Al netto di ogni anatomia critica, le opere di Mantilla sono pregne di energia comunicativa, di sottintesi piscologici, di una narrazione lirica ed esistenziale che attira lo spettatore e lo incatena magneticamente davanti a queste immagini dalla forza primitiva e dal grande carisma.