Street Art a Messina

Un viaggio tra gli interventi artistici, anarchici, abusivi e autorizzati per le strade della città di Messina.

Distrart_NemO’S: Without name, 2015.

Opera da subito additata come oscena, oggetto di critiche approssimative e piuttosto sterili, nonostante il primitivo rifiuto inizia a risuonare per la profondità delle riflessioni che da essa scaturiscono. Al fine di comprendere meglio questo lavoro, dall’indubbia carica esplicita e grottesca, pare corretto riportare le parole di NemO’S, che più di ogni altre chiariscono il senso di quest’iconica denuncia sociale: “Samia Yusuf Omar, è una ragazza del Mogadiscio, nata nel 1991, che nel 2007 partecipa alle Olimpiadi di Pechino diventando così un simbolo di riscatto per tutte le donne somale. Sognando le Olimpiadi di Londra e la libertà scappa dall’oppressione dell’integralismo e intraprende un viaggio di ottomila chilometri a piedi, attraversando il deserto del Sahara per raggiungere, dalla Libia, le coste dell’Italia. Samia Yusuf Omar è annegata, a largo di Lampedusa. “Without name” è per lei e per tutte quelle migliaia di persone che non hanno mai raggiunto la costa, di cui non si parla mai abbastanza, di cui ci si dimentica troppo facilmente. Con questi quattro corpi nudi ho rappresentato tramite una metafora surreale le modalità in cui giornali e dibattiti politici trattano con totale e assurda incoscienza il tema delle morti in mare. Nella tragicità della morte, la parte malata ed egoista della nostra società, con un gesto assolutamente normale e spensierato, prende i corpi dal mare e li stende nudi come panni ad asciugare; come se il problema di queste persone fosse essere bagnate e non essere affogate. Quello che ho disegnato è una situazione folle e pervasa di egoismo dove le morti nel mare passano in secondo piano per lasciare spazio a discussioni sterili su quanto i migranti possano creare più o meno disagio alla nostra condizione. Il pensiero più comune non è la ricerca di soluzioni alle morti del mare ma ai i potenziali problemi che derivano dalla migrazione. Non si parla di fermare la guerra civile in Libia o di trovare delle soluzioni alternative ai disastrosi viaggi sulle carrette del mare ma ci si preoccupa della diminuzione dei posti di lavoro e che la nostra realtà apparentemente perfetta non venga intaccata. Troppe volte l’uomo si ferma a guardare la semplice apparenza, crea dibattiti forvianti spostando la centralità del discorso e non si pone il problema di riflettere sulla realtà delle cose. Davanti all’immagine di quattro corpi nudi appesi ad asciugare, molte persone si sono concentrate ad additare l’oscenità dei peni al vento e non si è fermata nemmeno per un istante sul reale significato. Si è addirittura avuto il coraggio di parlare di violenza urbana in riferimento al disegno, in una città come Messina, in un paese come l’Italia dove gli illeciti dell’abusivismo edilizio e della mafia sono ovunque. Se la gente riflettesse e pensasse in maniera diversa si lamenterebbe del palazzinaro o della politica non di un disegno, cercherebbe soluzioni per le migliaia di morti in mare e non rimarrebbe in egoistico silenzio.

Distrart_Luca Zamok: Giasone e il Drago, 2015.

Le Argonautiche, poema ellenistico di Apollonio Rodio, narra che la spedizione di Giasone toccò queste sponde durante il suo epico viaggio. L’artista si fa tentare e ferma qui l’eroe per lo scontro decisivo con il celeberrimo Drago. La creatura sinuosamente si intreccia tra le finestre del malconcio edificio della “Casa di Vincenzo” insidiando la figura rosseggiante del granitico Giasone. Tutta la composizione è giocata sui colori della città: il giallo e il rosso, trasformando l’episodio in un augurio simbolico per le difficili battaglie che aspettano la comunità peloritana. L’opera con le sue dimensioni monumentali e con il suo afflato epico e favolistico riscatta una piccola porzione dell’affaccio diretto sul mare, ancora oggi severamente compromesso dalla recinzione del porto e da edifici, come la Dogana, che chiusi e degradati offrono al visitatore un’immagine poco lusinghiera della città.

Distrart_Anc e Poki: Il Paguro e il Marinaio, 2015.

In questa monumentale immagine, opera degli street artist Anc e Poki, la città di Messina diventa un gigantesco paguro, un enorme crostaceo tropicale sormontato dalla Lanterna del Montorsoli e dal Faro. Il simbolico animale è cavalcato da un giovane marinaio cui sta sfuggendo di mano la sirena imprigionata, mentre egli brandisce un arpione rudimentale, più per pranzare che per pescare. Ancora una volta, anche in questo lavoro, seppur all’interno al programma impostato da Distrart, l’istanza del paesaggio dello Stretto di Messina, coi suoi cetacei e suoi pesci spada, è la protagonista indiscussa di un messaggio tanto chiaro da sembrare un manifesto. Il crostaceo urbano, il Paguro Messina si muove con un sobbalzo tanto forte da far perdere il cappello al marinaio, tanto irriverente da far cascare e finalmente liberare la povera Sirena. Un terremoto? E’ quello che sta sconvolgendo l’ordine dei palazzi sotto il faro? Oppure si tratta di un nuovo inseguimento? Di una ripartenza? Opera pittorica monumentale di grandissima qualità, cui non sfuggono neanche i virtuosismi, come il fumo della pipa o l’epidermide del paguro, suggella il desiderio di contemporaneità, e soprattutto di cambiamento che la città di Messina in tutti i campi va manifestando dai primi anni dieci del XXI secolo.

Tappa - Brasile

Presso le pensiline del tram della fermata Brasile le opere degli artisti coinvolti dal progetto di riqualificazione urbana Distrart (2015). Tra memoria letteraria e ipotesi del futuro le pensiline trasformata dell’arte invitano lo spettatore a una riflessione sull’identità e la cultura della città di Messina.

Tappa - Ringo

Toponimo di incerta origine, il Ringo, forse da “arringo”, probabilmente era il luogo in cui le truppe a cavallo si preparavano per entrare in formazione dentro le mura della città, o forse, più semplicemente, il luogo deputato alle giostre equestri. In questa fermata è possibile ammirare le moderne e gustose interpretazioni di alcune “icone antonelliane” ad opera dall’artista messinese Daniele Tofi Morganti.

Pages