Marco Crupi: L'alba che esplode sullo Stretto, 2015.

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Testo Ridotto: 

Lo Stretto di Messina, con i suoi colori e il suo paesaggio mozzafiato, è sempre stato al centro degli interessi di pittori e fotografi.  Questi ultimi, in particolar modo, non possono non registrare, tentare di trascrivere sulla pellicola o sul supporto digitale, l’energia cromatica della sua luce, i fenomeni atmosferici del suo cielo. Come in questo scatto di Marco Crupi che documenta uno dei momenti più belli che possono viversi a queste latitudini: l’alba.

Testo Medio: 

Lo Stretto di Messina, con i suoi colori e il suo paesaggio mozzafiato, è sempre stato al centro degli interessi di pittori e fotografi.  Questi ultimi, in particolar modo, non possono non registrare, tentare di trascrivere sulla pellicola o sul supporto digitale, l’energia cromatica della sua luce, i fenomeni atmosferici del suo cielo. Come in questo scatto di Marco Crupi che documenta uno dei momenti più belli che possono viversi a queste latitudini: l’alba. La foto è stata scattata in prossimità della punta del Faro, di cui, a sinistra, si nota il coreografico landmark del Pilone. Il sole si è appena levato sopra l’Aspromonte, una lama di luce penetra tra le spesse coltri delle nuvole, riscaldando la distesa liquida delle acque. Il “momento decisivo” è quello dell’affacciarsi dell’astro, quando, alle prime ore del mattino di un giorno ancora invernale, lo Stretto è sorpreso, pallido, mentre ancora, lentamente, confonde i due mari, il Tirreno e lo Ionio, in una sonnolento risveglio. Crupi imposta la foto partendo da questa “esplosione” luminosa che modula la temperatura dell’immagine dal cuore luminoso del sole alle possibili, e lentamente svelati, profili delle Terra e delle cose.  Appaiono così i rilievi, la lingua sabbiosa del Capo, un peschereccio e una grande nave, primi visitatori dello Stretto appena “riaperto” dalla luce naturale.  Le singolarità geografiche, atmosferiche, antropologiche, paesaggistiche e naturalistiche dello Stretto ne fanno un testo prelibato per i fotografi, letteralmente coloro che “scrivono con la luce”.  La luce dello Stretto, infatti, non rimane mai costante, cambia minuto dopo minuto. La rifrazione causa dalla gran massa d’acqua, il continuo andirivieni dei nembi, ne fanno un modello sempre cangiante, mai uguale a se, che obbliga il fotografo a tenere salda la macchina fotografica e aspettare l’attimo propizio. 

Testo Esteso: 

Lo Stretto di Messina, con i suoi colori e il suo paesaggio mozzafiato, è sempre stato al centro degli interessi di pittori e fotografi.  Questi ultimi, in particolar modo, non possono non registrare, tentare di trascrivere sulla pellicola o sul supporto digitale, l’energia cromatica della sua luce, i fenomeni atmosferici del suo cielo. Come in questo scatto di Marco Crupi che documenta uno dei momenti più belli che possono viversi a queste latitudini: l’alba. La foto è stata scattata in prossimità della punta del Faro, di cui, a sinistra, si nota il coreografico landmark del Pilone. Il sole si è appena levato sopra l’Aspromonte, una lama di luce penetra tra le spesse coltri delle nuvole, riscaldando la distesa liquida delle acque. Il “momento decisivo” è quello dell’affacciarsi dell’astro, quando, alle prime ore del mattino di un giorno ancora invernale, lo Stretto è sorpreso, pallido, mentre ancora, lentamente, confonde i due mari, il Tirreno e lo Ionio, in una sonnolento risveglio. Crupi imposta la foto partendo da questa “esplosione” luminosa che modula la temperatura dell’immagine dal cuore luminoso del sole alle possibili, e lentamente svelati, profili delle Terra e delle cose.  Appaiono così i rilievi, la lingua sabbiosa del Capo, un peschereccio e una grande nave, primi visitatori dello Stretto appena “riaperto” dalla luce naturale.  Le singolarità geografiche, atmosferiche, antropologiche, paesaggistiche e naturalistiche dello Stretto ne fanno un testo prelibato per i fotografi, letteralmente coloro che “scrivono con la luce”.  La luce dello Stretto, infatti, non rimane mai costante, cambia minuto dopo minuto. La rifrazione causa dalla gran massa d’acqua, il continuo andirivieni dei nembi, ne fanno un modello sempre cangiante, mai uguale a se, che obbliga il fotografo a tenere salda la macchina fotografica e aspettare l’attimo propizio. In questo scatto Crupi manifesta grande abilità tecnica e una precisa sensibilità poetica.  Innanzitutto, pur dovendosi confrontare con “l’esplosione” non ne subisce le probabili bruciature, ma anzi riesce a rimanere pulito in ogni frame dell’immagine che da quel punto caldo digrada, come in un dipinto, tono su tono. La foto è, quindi, formalmente perfetta. Solide sono le geometrie e le segrete linee che si organizzano dentro il rettangolo fotografico. Tuttavia, l’esplosione, se pur compostamente restituita, è tale soprattutto per la grandezza del suo linguaggio e per la certezza con cui colpisce lo spettatore. Al di là dell’appartenenza territoriale, e al di fuori di una rivendicazione identitaria, il paesaggio fotografato è qui il teatro di un’elevazione spirituale, di un sentimento struggente, di una straordinaria potenza emotiva. E’ un’immagine che potrebbe benissimo dialogare con un dipinto di William Turner[1], padrino inglese dell’impressionismo, esploratore pittorico dei paesaggi marini. Il paesaggio, di fatti, è uno degli elementi centrali dell’arte siciliana, a partire da Antonello fino ai giorni nostri.  Tuttavia, bisognerebbe capire cosa s’intende per paesaggio per comprendere meglio il ruolo delle arti, e specialmente della fotografia digitale oggi, nella costruzione di una consapevolezza ambientale. “L’uomo abita il territorio, ma se non vuole abitarlo come un animale, lo deve fare come un poeta. Questa idea di Holderlin significa che è la poesia a produrre realmente abitare. Abitare poeticamente significa mettere in movimento la ragione, la memoria e l’immaginazione. Questa facoltà sono essenziali in generale, per pensare il paesaggio. L’uomo abita veramente il territorio soltanto se ha prodotto una rappresentazione paesaggistica del suo territorio”[2]. In una realtà urbana contradditoria e inorganica come quella del territorio peloritano, il lavoro dei fotografi come Marco Crupi diventa fondamentale per la formazione di una coscienza in grado di apprezzare e valorizzare le potenzialità, ancora inespresse, di una regione in crisi profonda.

 


[1] (Londra, 1775 – Chelsea, 1851)

[2] Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea editrice, Firenze, 2005, p. 84.

 

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