Egidio De Fichy: Don Saro, 1934.

Artista: 
Testo Ridotto: 

Nel 1929, alcuni anni dopo la morte di Giovanni Scarfì, nonno e primo maestro di De Fichy, Egidio si arruola nella Regia Marina, lasciando l’Isola. Torna quindi a Messina nel 1934, entrando nello studio di Antonio Bonfiglio. Don Saro è una sintesi del plasticismo monumentale del maestro e del verismo vivace che contraddistinguerà tutta la sua produzione. Il magnifico ritratto sarà premiato con la borsa di studio Tommaso Aloysio Juvara, consentendo al giovane De Fichy di trasferirsi a Roma per perfezionare la sua arte.  

Testo Medio: 

Nel 1929, alcuni anni dopo la morte di Giovanni Scarfì, nonno e primo maestro di De Fichy, Egidio si arruola nella Regia Marina, lasciando l’Isola. Torna quindi a Messina nel 1934, entrando nello studio di Antonio Bonfiglio. Don Saro è una sintesi del plasticismo monumentale del maestro e del verismo vivace che contraddistinguerà tutta la sua produzione. Il magnifico ritratto sarà premiato con la borsa di studio Tommaso Aloysio Juvara, consentendo al giovane De Fichy di trasferirsi a Roma per perfezionare la sua arte.  Il gesso, pur rientrando nei canoni del ritratto ufficiale, incrocia abilmente la tensione descrittiva del dato reale con le note vivaci di una resa vibrante e vivida dei volumi e dell’epidermide del volto. L’opera è una prova paradigmatica dell’estetica di De Fichy, scultore dalla tecnica solida e dalla personalità ben definita.  Nonostante la composta serietà dell’effigiato, la testa restituisce la fisicità palpitante dell’uomo, la levigata morbidezza dell’incarnato e l’espressione profonda di un uomo intelligente cui sembra alludere anche l’ampia fronte. Nella rapida resa dei capelli, un volume scolpito abilmente da sicure spatolate, De Fichy infonde il sottile dinamismo tipico della sua poetica. L’arte dello scultore messinese sarà sempre fedele a questa gioiosa tensione epidermica. Le sue sculture, mantenendo la grande compostezza dell’impianto verista, sono animate da un’energia intrinseca che, senza mai scomporsi, dona alla materia un afflato vitale sempre affascinante. In questo carattere specifico della sua arte può cogliersi l’eredità artistica del nonno Giovanni Scarfì, tra i maggiori scultori attivi tra Ottocento e Novecento in riva allo Stretto. Con le sue 123 opere censite[1], Scarfì fu, dal 1878 al 1926, tra gli artisti più prolifici del Gran Camposanto di Messina, vero e proprio parco museo cittadino. Così come per Antonio Bonfiglio, la scultura funeraria costituì il fulcro di numerosissime committenze alcune delle quali con esiti di gran pregio.

 


[1] Luisa Paladino, Scultura e Scultori dell’Ottocento nel Gran Camposanto di Messina, in Un libro aperto sulla città: Il Gran Camposanto di Messina, a cura di Giovanni Molonia e Pippo Azzolina, Associazione Culturale Federico II, Messina, 2000, p. 118.

 

Testo Esteso: 

Nel 1929, alcuni anni dopo la morte di Giovanni Scarfì, nonno e primo maestro di De Fichy, Egidio si arruola nella Regia Marina, lasciando l’Isola. Torna quindi a Messina nel 1934, entrando nello studio di Antonio Bonfiglio. Don Saro è una sintesi del plasticismo monumentale del maestro e del verismo vivace che contraddistinguerà tutta la sua produzione. Il magnifico ritratto sarà premiato con la borsa di studio Tommaso Aloysio Juvara, consentendo al giovane De Fichy di trasferirsi a Roma per perfezionare la sua arte.  Il gesso, pur rientrando nei canoni del ritratto ufficiale, incrocia abilmente la tensione descrittiva del dato reale con le note vivaci di una resa vibrante e vivida dei volumi e dell’epidermide del volto. L’opera è una prova paradigmatica dell’estetica di De Fichy, scultore dalla tecnica solida e dalla personalità ben definita.  Nonostante la composta serietà dell’effigiato, la testa restituisce la fisicità palpitante dell’uomo, la levigata morbidezza dell’incarnato e l’espressione profonda di un uomo intelligente cui sembra alludere anche l’ampia fronte. Nella rapida resa dei capelli, un volume scolpito abilmente da sicure spatolate, De Fichy infonde il sottile dinamismo tipico della sua poetica. L’arte dello scultore messinese sarà sempre fedele a questa gioiosa tensione epidermica. Le sue sculture, mantenendo la grande compostezza dell’impianto verista, sono animate da un’energia intrinseca che, senza mai scomporsi, dona alla materia un afflato vitale sempre affascinante. In questo carattere specifico della sua arte può cogliersi l’eredità artistica del nonno Giovanni Scarfì, tra i maggiori scultori attivi tra Ottocento e Novecento in riva allo Stretto. Con le sue 123 opere censite[1], Scarfì fu, dal 1878 al 1926, tra gli artisti più prolifici del Gran Camposanto di Messina, vero e proprio parco museo cittadino. Così come per Antonio Bonfiglio, la scultura funeraria costituì il fulcro di numerosissime committenze alcune delle quali con esiti di gran pregio. La borghesia messinese raccontò i suoi personaggi illustri e i suoi successi attraverso la ritrattistica, tema che fu centrale anche per Egidio De Fichy. Non a caso, quindi, Don Saro vinse la borsa Juvara. Persisteva nella cultura cittadina e nelle istituzioni, l’idea ottocentesca che non fosse possibile una buona comunità senza buoni artisti in grado di rappresentarla. Tuttavia, il cambio epocale era dietro l’angolo. Il Fascismo prediligeva un’arte pubblica e popolare, in grado di glorificare i successi del regime e del suo capo. L’attività di De Fichy, registra questo mutamento e l’artista dagli anni ’40 ripiega nel mondo privato dei ritratti di amici e familiari[2]. In questa dimensione, la sua plastica morbida e delicata, le invenzioni giocose dei marinai e dei successivi “nudini”, ha modo di esprimersi al meglio. Di fatto, De Fichy è un grande modellatore.  La cera e la creta registrano la sua strutturata visione: le superfici delle sue sculture sono tattilmente mosse, sempre in tensione contro l’inerte della materia, che egli combatte cercando di infondere alle sue immagini un principio di vitalità, l’afflato vibrante di un’immagine vivida. Una sottile ironia e una romantica nostalgia corrono lungo la longeva attività di questo scultore dall’animo gentile, che sul fine della vita raccoglierà nel libro Tamo Vamo (Pungitopo 2010) le memorie di un secolo doloroso e contraddittorio.

 


[1] Luisa Paladino, Scultura e Scultori dell’Ottocento nel Gran Camposanto di Messina, in Un libro aperto sulla città: Il Gran Camposanto di Messina, a cura di Giovanni Molonia e Pippo Azzolina, Associazione Culturale Federico II, Messina, 2000, p. 118.

[2] Significativo in questo senso, il basso rilievo Quello che la guerra ha distrutto noi l’abbiamo ricostruito, presentato alla Fiera Campionaria del 1946, e oggi conservato nei locali del Genio Civile.

 

Galleria Immagini: 
Gallerie Immagini Secondarie: 

Galleria Opere Egidio De Fichy

  • Egidio De Fichy: Ritratto di Felice Forgione, 1936, cera, 36, 5 cm, GAMM di Messina.
  • Egidio De Fichy: Marinaio, 1940, gesso dipinto, 20 cm.
  • Egidio De Fichy: Mia Figlia Maria, 1949, bronzo, 20 cm.
  • Egidio De Fichy: Maria Cacopardo, 1950, gesso patinato, 37 cm.
  • Egidio De Fichy: Nudino, 1952, gesso patinato, 35 cm.
  • Egidio De Fichy: Bagnante, 1964, gesso patinato, 8, 5 cm.
  • Egidio De Fichy: Nudino stilizzato, 1972, gesso patinato, 36 cm.
Credits: 
Archivio De Fichy
Data Luogo Opera: 
Tag Principali: 
QR Code: 

Tag Tecnica: 
Tag Tipo Opera: